Rappresenta un doppio ritorno per il regista Giuliano Montaldo il film “I demoni di San Pietroburgo”, presentato, oggi, a Torino e in uscita domani nelle sale italiane.
Montaldo torna, infatti, alla regia cinematografica dopo 18 anni, il suo ultimo lavoro fu “Il tempo di uccidere” del 1989 e torna in Piemonte, la stessa regione dove nel 1960 debutto’ come regista con “Tiro al Piccione” girato nella zona del Verbano.
Anche in quel film vi era al centro il tema della tolleranza, del no alla violenza. Proprio come succede nel suo ultimo lavoro, “I demoni di San Pietroburgo”, che racconta la vita e i romanzi di Dostoevskji, girato tra San Pietroburgo e la reggia di Venaria Reale vicino a Torino. “Questo film - ha detto, oggi, nel corso di una conferenza stampa a Torino Montaldo, affiancato dagli attori Miki Manojlovic (lo scrittore) e Carolina Crescentini (la giovane stenografa Anna Grigorjevna che diventera’ la moglie di Dostoevskji) - ha una storia lunga: la prima volta che me ne parlarono risale a piu’ di 20 anni fa ma vi era ancora l’Unione Sovietica e i russi non erano interessati o, comunque, a loro questo personaggio stava antipatico. Cosi’ avevo accantonato il progetto, mi ero dedicato ad altre cose, mi ero innamorato della lirica, ma avevo voglia di tornare al cinema”.
“Nel cinema - ha scherzato Montaldo - ho cominciato a lavorare quando hanno terminato i fratelli Lumiere. Ho iniziato nel 1950 con Lizzani, facendo l’attore, poi mi sono visto ed ho capito era meglio dedicarsi alla regia. Ho lavorato con grandi maestri, con Lizzani, con Elio Petri e da loro ho imparato il rigore, la serieta’”. In quest’ultimo film Montaldo ribadisce, come aveva gia’ fatto in altri lavori, il suo no all’intolleranza, alla violenza, al terrorismo: “io odio la violenza - ha detto - e penso che generi solo odio, razzismo. Ritengo, invece, che ci sia una parola veramente da coltivare ed e’ ‘cultura’. Ma in questi ultimi tempi, anche nella campagna elettorale appena finita, questo parola io non l’ho mai sentita. E questo mi preoccupa, perche’ bisogna salvare l’Italia ma tutta l’Italia, anche la sua cultura”.
Fonte: AGI
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